Aphrodite si racconta

Cafè Kevah, ore sette e venti del mattino, costa nord della California e l’odore del mare sembra avvolgere senza confondersi con la natura che esplode intorno. Tre grossi blocchi in cemento bianco si sovrappongono lasciando spazio alla creazione di gradoni, cuscini che si alternano in colori offrono il buon umore. Verdeggiante è l’universo che sostiene questo spazio. Guardo giù, la valle sembra serena e urla alla vita. Scorgo cavalli. Montagne si adagiano ai bordi del mare. Sono in anticipo, occupo un tavolino panoramico, c’è il sole e gli ombrelloni bianchi creano una dolce e piacevole protezione. È primavera, è afrodite.

Mi volto verso sinistra per accompagnare la mano che sposta i capelli cascati ormai sugli occhi e dalla grande porta vetrata bordata di rosso vedo Lùg. Puntuale come suo solito, indossa uno di quei sorrisi da far invidia anche al più sociale degli uomini. Ha qualcosa tra le mani, un rettangolo di circa venti centimetri variopinto da cui risalta un accecante fondo giallo. Si avvicina, ci salutiamo, porta la sedia verso l’esterno del tavolo e siede di fronte a me, si sistema poi poggia quel mattoncino giallo alla sua destra. Mi chiede come va. Nel frattempo il cafè inizia a popolarsi. Nonostante la splendida giornata e il luogo incantevole non ritrovo lo stesso umore mio e di Lùg sui volti degli altri.

Intanto ordiniamo pancakes, tropical juices e caffè alla ragazza biondina che si accosta al nostro tavolo.

«Ci pensi che qui prima di noi ad osservare lo stesso mare e a godere della stessa atmosfera ci sono stati i grandi della Beat Generation?», mi fa osservare emozionato Lùg.

Ho provato ad immaginare quanto stesse dicendo mentre un dolce profumo di croissants inibiva la mia facoltà di pensiero. È arrivata la colazione non ho tempo per pensare ad altro, invoco il silenzio. Il mio rito quotidiano sta per compiersi, come una bambina che scopre il cioccolato a merenda mi preparo ad accogliere la felicità. Scatto una foto, sarà per il blog o per pubblicare una storia, ogni tanto mi piace essere social nonostante la mia socialità selettiva (come la chiama Lùg). I pancakes hanno una consistenza così soffice che sembra di vivere una di quelle esperienze sensoriali indotte da pratiche magiche di elevazione spirituale. Un qualcosa di indescrivibile!

Ritorno al cafè, a Lùg, al nostro incontro. Penso che dieci minuti di evasione dal mondo reale siano stati più che appaganti.

«Sì, li immagino qui come noi a chiacchierare e a lasciarsi ispirare sul senso della vita, della libertà», per riprendere il discorso che prima avevo lasciato privo di risposte. Iniziamo a confrontarci, ognuno a offrire qualcosa di ciò che sa. Mi è sempre piaciuto questo modo di vivere le persone, donando e accogliendo, imparando e scoprendo, incuriosendosi. È la curiosità la più potente fonte di conoscenza, senza la quale nemmeno la meraviglia avrebbe il suo perché.

Il mattoncino giallo viene spinto con le dita verso di me.

«Per te», sorride Lùg.

Non ho nulla per lui, il mio conflitto con la materialità mi fa dimenticare che un pensiero è sempre un gesto gradito. Lo scarto, è un libro. Nessun regalo può essere tanto piacevolmente apprezzato quanto le parole impresse su fogli posti gli uni sugli altri. Il mattoncino era nuova conoscenza per me, qualcosa che aveva a che fare con i suoni e i cristalli dell’acqua. Dalle parole di Lùg che nel frattempo mi spiegava di cosa si trattasse ho immaginato subito che mi avrebbe affascinata. Abbiamo continuato così per ore, a chiacchierare e chiacchierare. Abbiamo sempre avuto la capacità di spaziare sugli argomenti più disparati, dalle ricette dei miei dolci mattutini alla fisiognomica, dalla fotografia all’educazione, dalla filosofia alla posturologia fino agli argomenti più stupidi.

Inizia a fare caldo adesso, l’ora di pranzo è vicina. Decidiamo di andare, avremo tante occasioni per parlare. Ci alziamo e guardiamo verso la valle, le nuvole avvolgono la parte bassa della montagna e sembrano galleggiare sull’acqua. Il bianco si confonde nell’azzurro del mare. Adesso li vedo quelli della Beat Generation, li immagino sospesi nei propri pensieri, li immagino immaginare, li immagino creare.

La bellezza era tutta lì, intorno.

 Vedo Afrodite. Ovunque.

Questa è la storia di Aphrodite a colazione, uno spazio di riflessione sulle nostre passioni, un angolo di mondo virtuale dove poterci confrontare ed esprimere.

BENVENUTI

Tratto da “Colazione al Kevah”, Fogli sparsi.

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